lunedì 15 agosto 2016

Estate da ergastolani


Viene voglia di staccare la spina e smettere
di elemosinare un po’ di speranza.
(Frase scritta sulla parete di una cella di un ergastolano) 
Penso che il carcere sia un’invenzione stupida perché non migliora ma invece peggiora i suoi abitanti, mentre non stimola  nessuna riconciliazione fra vittima e carnefice. Inoltre, dopo tanti anni di carcere, la pena non ha più nulla a che vedere con il recupero sociale. Questa è la prima estate senza Marco Pannella e la sua mancanza si sente. Credo che ad agosto nessun politico di spessore  girerà per le carceri come faceva lui per ricordare che in Italia esistono ergastolani per i quali, attualmente, non è prevista la concessione di alcun beneficio. E per questi reclusi la condanna all’ergastolo risulta fissa ed immodificabile.

L’ergastolo, più che imprigionare
il corpo, uccide la vita  
La nostra Costituzione assegna alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa. Ma quale beneficio rieducativo potrà mai apportare una pena perpetua? La pena dell’ergastolo, più che imprigionare il corpo, uccide la vita perché è, nello stesso tempo, una pena di morte e una tortura. E non è facile migliorare e cambiare quando hai solo la possibilità d’invecchiare, morire e soffrire in una cella.
 In questa torrida estate ho pensato di scrivere ad alcuni ergastolani sparsi nelle nostre Patrie Galere per raccogliere pensieri e testimonianze e farli conoscere all’opinione pubblica. Ecco cosa mi hanno scritto alcuni di loro:
 Ergastolo, la vita non vale più 
"Gli ergastolani più fortunati si creano ogni giorno un mondo interiore costruito sul sale di tutte le loro lacrime. Io, invece, mi sono stancato di sperare. È meglio non avere speranza che nutrirne di false. Tanto, con la condanna all’ergastolo, la vita non vale più nulla: ciò che ti rimane è solo il passato. E ogni giorno che passa non è uno in meno da scontare. Carmelo, mi sono arreso, o, meglio, me ne frego. Che facciano quello che vogliono. Ormai ho 58 anni, potrei vivere altri dieci anni e arrivare a circa a 70 anni; quindi uscirò da morto. Con la pressione che mi ritrovo, se penso all’ergastolo ostativo, morirò prima. Meglio non pensarci. Adesso che Marco Pannella è morto non è facile che trovino uno che lo possa sostituire. Come vedi ci va tutto male".
(Salvatore, da 33 anni in carcere, detenuto a Termini Imerese) 


 Con questa pena, la vita
diventa peggiore della morte
Un compagno, che è in cella con me e al quale mancano solo un paio di mesi prima di uscire, si è confidato e mi ha detto che i secondi gli stanno sembrando minuti, i minuti ore, le ore giorni ed i mesi anni. Gli ho risposto: “Per fortuna che io ho l’ergastolo e non ho bisogno di contare né i giorni, né i mesi, né gli anni. Conto solo i capelli bianchi che mi stanno venendo”. Il mio compagno ha annuito. Poi ha amaramente sorriso. E alla fine abbiamo riso insieme, anche se non c’era nulla da ridere perché, con questa pena, la vita diventa peggiore della morte.
(Giuseppe, da 28 anni in carcere, detenuto a Nuoro)


Bergoglio che lava i piedi secondo l'usanza cristiana, ad alcuni detenuti
Seicento ergastolani al Papa: “Il carcere a vita è disumano”

 Bocche di lupo
in plexiglass
Ciao Carmelo, qui continua la calma piatta più totale e un caldo disumano contribuisce alla stasi.  Nessuno cucina più: l’idea di accendere il fornello ci terrorizza. Già la notte sto incominciando a dormire a terra, e chi se ne frega degli scarafaggi. Tutta colpa di queste dannate bocche di lupo in plexiglass: sembra di stare in una serra. Per assurdo, all’aria fa più fresco anche in pieno sole. Infatti, ormai, alla fine ci ritroviamo un po’ tutti a sonnecchiare e a cercare di assorbire il fresco del cemento negli angoli più bui.
(Pasquale, da 30 anni in carcere, detenuto a Spoleto)

 Mentre raccontava piangeva
Caro Carmelo, un compagno di qui, circa un mese fa è stato a Sollicciano per un’udienza. L’hanno messo con un detenuto dicendo che stava un po’ giù. Lui ci ha chiacchierato, ha tentato di tirarlo su e sembrava che si fosse rasserenato. Il secondo giorno il compagno è voluto scendere all’aria. È risalito neanche dopo dieci minuti, perché gli era montata l’ansia. Tornato in sezione ha trovato il suo compagno di cella morto impiccato. La guardia non se n’era accorta e, per quanto sia stato inutile, sono stati i detenuti a tentare di rianimarlo. La guardia era inibita dalla paura e  inizialmente non è arrivato nessun medico. Per il nostro compagno è stata una brutta esperienza: mentre ce la raccontava piangeva.
(Alberto, da 28 anni in carcere, detenuto a San Gimignano)
 I primi      giorni
dell’arresto
Caro Carmelo, mi trovo nel carcere di Livorno. Ho già chiesto di poter parlare con il coordinatore responsabile della sezione e, molto probabilmente, finirò in isolamento nelle celle di punizione perché non ho nessuna intenzione di stare in tre in una cella che è stata costruita per un detenuto. Mi hanno già informato che a chi sceglie questa strada gli viene fatto rapporto e denuncia. Appena sono arrivato ho capito che aria tirasse. Per dirtene una: qua nessuno può tenere un solo rasoio usa e getta nella cella. Tutte le volte che uno vuole farsi la barba deve chiedere il rasoio alla guardia di turno e, per di più, solo dopo le 9 del mattino. All’unico accappatoio che avevo e ad un giubbino ho dovuto tagliare il cappuccio. A me sembra di rivivere i primi giorni dell’arresto.
(Roberto, da 23 anni in carcere, detenuto a Livorno)

 Sono certo, tutto ciò
mi porterà al disfacimento
Carmelo, ho letto tutto quanto mi hai mandato e, pur se i tuoi scritti mi aiutano a vedere in positivo, in questo posto, dove sembra assente anche l’eco di una campana, non si può certo avere un minimo di gioia. Qui la vita è triste, monotona, i giorni sono diventati lunghi e le notti ancora di più. Prima per le condizioni carcerarie e poi perché da circa tre mesi non sto bene con la salute. Sono ripiombato nel buio più totale: non faccio nulla dalla mattina alla sera, non mi confronto più con nessuno, non metto in gioco né i miei pregi, né i miei difetti. Carmelo, non riesco più a odiare nessuno e questo non fa altro che farmi ammalare perché se prima imprecavo e odiavo questo mi dava la giusta carica per sopravvivere, mentre adesso che non impreco e non riesco a odiare mi sento morire ogni giorno. Ciò che non so più rivolgere verso gli altri lo uso contro di me. E sono certo che questo mi porterà al disfacimento.
(Giuseppe, da 26 anni in carcere, detenuto a Sulmona)

 I muri imbrattati di feci 
Caro Carmelo, mi trovo nella cella cosiddetta liscia, senza TV, né luce, addirittura con la finestra saldata che non si può aprire, i muri imbrattati di feci e così via. Roba che ti fa rabbrividire. È veramente una vergogna che ancora oggi esistano queste realtà.
(Mimmo, da 31 anni in carcere, detenuto a Carinola)

Carmelo, qui fa caldo…
non si respira
Carmelo, qui fa caldo… non si respira e di aprire le celle non se ne parla proprio. Non so nemmeno cosa sto scrivendo… il caldo non mi fa concentrare e purtroppo sono un paio di giorni che non sto bene… mi sembra tutto inutile, insensato. Questa condanna maledetta mi sta devastando l’anima, mi sembra di aver perso le forze. Sarà il caldo, sarà la “carcerite cronica” che ho? Boh!
(Giovanni, da 23 anni in carcere, detenuto a Sulmona)


 Faccio la mia galera
senza disturbare nessuno
Ciao Carmelo, come stai? Io un po’ incasinato. Ho preso una denuncia per minaccia a Pubblico Ufficiale. Pensi che sarà valutata in modo negativo? Ho fatto l’istanza per Volterra: cavolo meno male che qui si stava bene! Mi stanno martellando: ho già subito quattro perquisizioni in un mese. Alla fine sono scoppiato, ma credo che sia umano quando vedi trattare la tua roba personale come stracci. Mi hanno preso di mira, ma io non so cosa vogliono da me. Mi faccio la mia galera senza disturbare nessuno, mi alleno, ascolto la musica, scrivo, leggo e non faccio comunella con nessuno. Il vice comandante mi ha detto: “Da quarant’anni faccio questo lavoro e so riconoscere un criminale da uno sbandato”. Vorrei tanto capire da dove, anzi, in che modo ha dedotto che io sia un criminale dato che mi ha visto una volta. Comunque, cosa mi consigli Carmelo?
(Massimiliano, da 21 anni in carcere, detenuto a Porto Azzurro)
Per riferimenti vari scrivete a: *Carmelo Musumeci
www.carmelomusumeci.com

Carcere di Padova Agosto 2016







lunedì 15 febbraio 2016

Libertà per chi non vediamo

Il costo della libertà

Appello di Ristretti Orizzonti,
sulla vicenda di Roverto Cobertera
In sciopero della fame con Roverto, per una Giustizia che apra sempre alla speranza

Roverto   Cobertera è un ergastolano, e anche un redattore di Ristretti Orizzonti, e ha deciso di morire. Vuole morire perché ritiene di essere stato “massacrato” dalla Giustizia italiana, che lo ha condannato all’ergastolo per un omicidio, che lui sostiene di non aver commesso. E questo ora lo dice anche il suo coimputato, che si è assunto tutta la responsabilità per quel reato. Roverto non è un “innocente”, no, lui non ha mai negato di aver commesso dei reati, ma non è un assassino. E noi gli abbiamo creduto non per un eccesso di fiducia verso un amico, ma per la forza della sua rabbia, per il dolore e il senso di desolazione che porta con sé, perché non si rassegna e preferisce morire per riaffermare la verità.
Sappiamo benissimo che ci diranno che uno sciopero della fame della redazione di Ristretti Orizzonti non serve a nulla e forse non aiuta neppure Roverto a trovare la forza di combattere contro una Giustizia spesso poco umana, ma questo sciopero lo vogliamo fare ugualmente, proprio per aiutare tutti a provare a immaginare l’impotenza che si prova a venir condannati ingiustamente e non avere gli strumenti per difendersi.
Salvare dal rischio suicidio
Il nostro sciopero della fame sarà anche simbolico, ma ha degli obiettivi chiari e concreti. In carcere nessuno deve più morire di disperazione, ci vuole attenzione e capacità di dar voce a chi sta male o ritiene di aver subito un’ingiustizia. Vi ricordate la telefonata del Ministro Annamaria Cancellieri per “salvare dal rischio suicidio” una persona amica di famiglia? Allora il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria disse che la sofferenza dei detenuti e delle loro famiglie deve avere risposte immediate, parlò di una linea telefonica dedicata, un Centro di ascolto, una specie di Osservatorio a cui si potessero segnalare i casi critici e avere indicazioni e aiuto. Se ne è più fatto nulla? A noi sembra di no, ma non è mai troppo tardi, è ora di occuparsi della sofferenza in carcere, di monitorare le persone in sciopero della fame, di non abbandonarle.
Roverto Cobertera deve avere una revisione del processo, con tempi certi e non disumani, perché se poi risulta che una persona è davvero innocente, c’è urgenza di FARE IN FRETTA a salvarla.
Questa lotta disperata di Roverto è per ricordare che l’ergastolo è una pena disumana, SEMPRE, anche quando comminata ad una persona certamente colpevole. se poi ci sono dei dubbi, se una persona si dichiara con forza innocente e lotta per dimostrarlo, se una persona davvero lo è, allora quella pena diventa un orrore che nemmeno riusciamo a immaginare. Quando Roberto ci dice “Voi non potete capire cosa vuol dire avere un “fine pena mai’ per un reato di cui non sono responsabile” noi gli rispondiamo che ha ragione, una mente umana non può neppure concepire una simile mostruosità.
Ma la storia di Roverto è anche una storia di affetti negati dal carcere: lui ha retto per anni il peso di un ergastolo ingiusto proprio per la famiglia, per quelle sue figlie bambine che lo cercavano e lo aiutavano a stare al mondo. Ma ora le figlie sono lontane, vivono in Spagna, la famiglia arranca, e quel rapporto di affetto tra padre e figlie non si può salvare con una miserabile telefonata di dieci minuti a settimana, dove un padre dopo tre minuti deve dire alla figlia “Basta, passami tua sorella”, e deve anche sentirsi addosso l’urlo di rabbia della bambina: “Papà ti odio, non puoi avere tanta fretta e non volermi parlare più!”.
Roverto e per tutte le persone detenute allora chiediamo che la parola, ormai abusata, “umanizzare”, riferita alle galere, si traduca in fatti. Ci sono al lavoro già gli Stati Generali dell’esecuzione della pena, c’è in Commissione Giustizia una proposta di legge per gli affetti delle persone detenute, noi vogliamo ricordare anche a loro che il primo, fondamentale fatto è: che ogni detenuto possa chiamare al telefono la sua famiglia LIBERAMENTE. Forse, se questo fosse possibile, oggi Roverto, ma anche tanti altri che pensano a togliersi la vita in carcere, desidererebbero un po’ meno morire e avrebbero tra le mani un filo sottile per restare attaccati alla vita.  
Per tutti questi motivi, e primo fra tutti perché vogliamo che Roverto viva, il 30 settembre faremo uno sciopero della fame per ricordare che non ci deve più essere una Giustizia, non ci deve più essere un carcere che crei DISPERAZIONE.

venerdì 12 febbraio 2016

Frammenti di libertà

Frammenti di libertà
Ho saputo che un altro detenuto s’è suicidato e ho pensato che quando un prigioniero si toglie la vita in carcere molti ci rimangono male. Ma ci rimane male soprattutto l’Assassino dei Sogni, perché così facendo gli togli il potere di ucciderti lentamente, un po’ tutti i giorni e un po’ tutte le notti. Per venticinque anni ho sempre pensato che mi avrebbero liberato solo quando avrei finito di scontare la mia pena, nell’anno 9999, com’è scritto nel mio certificato di detenzione. Ormai avevo esaurito tutti i miei ricordi di quando ero un uomo libero. Da quando, però, sono uscito in permesso per quindici giorni, ho dei ricordi nuovi che mi aiutano a fare sera e a fare mattino aspettando che venga l’anno 9999.





 Diario di un ergastolano
Vi voglio brevemente raccontare cosa prova un uomo che esce dopo venticinque anni di carcere. Ventitré dicembre 2015. Sono fuori dall’Assassino dei Sogni, il carcere, come lo chiamo io. È difficile uscire dal carcere senza portarti il carcere addosso, specialmente se sai che ci devi ritornare.
Una volta fuori
la prima cosa che noti è l’odore di libertà. Subito dopo ti senti come un cieco che apre gli occhi. Ti sembra di essere come un morto che è uscito da una tomba. Ti senti stupito persino dello stesso stupore che provi e geloso che il tuo cuore ti nasconda parte delle tue emozioni. Sei preso da mille pensieri. E ti accorgi com’è bello affacciarsi a una finestra senza sbarre. Fuori, ogni secondo è un istante di vita, ma di vita vera. Sorridi e vivi. Ti commuovi e ti senti felice. Vedi migliaia di arcobaleni. E assapori tutto quello che ti circonda.
 Sentirsi a disagio
E pensi a quanta vita c’è fuori, mentre dentro è tutto buio e morto. A tratti ti senti come un ladro che sta rubando un po’ di libertà e amore alla vita. Non credi che ci sia cosa più bella che camminare tenendo per mano la persona che ami. Ti accorgi che la vita vissuta è diversa da quella immaginata e che hai sognato per un quarto di secolo. Ti sembra che le persone ti osservino. Per non dare nell’occhio ti sforzi di non guardarli. E hai paura che quello sia un modo di vivere che non ti appartiene più. Un giorno entro in un bar: la mia compagna vuole che paghi io per riabituarmi alla normalità.
















Mi sento soffocare, spesso

Non mi sento all’altezza della situazione. E mi accorgo che la cassiera mi osserva in modo strano. Confondo il valore delle banconote. Interviene la mia compagna a salvarmi da una brutta figuraccia. Mi sembra che i miei figli mi guardino in modo preoccupato e che vogliano leggere nei miei pensieri. Gli specchi a casa mi fanno paura. Non sono più abituato a vedere il mio corpo per intero. Mi sembra di vedere l’immagine di un estraneo.

Nell’anno 9999

E’ dura ricominciare a vivere
In carcere possiamo vedere di noi solo il viso. Dopo tanti anni bevo e mangio con i bicchieri di vetro e di acciaio e mi ero dimenticato che pesano così tanto. Mi cadono facilmente bicchieri e tazzine per terra.
Non disabituarmi a vivere
Per fortuna la mia compagna non s’arrabbia. E questo mi fa arrabbiare un po’ perché mi sembra che mi tratti come un convalescente o un reduce di guerra. Rifletto sul fatto che, per non disabituarmi a vivere, mi sono battuto contro il carcere per tanti anni, disperatamente, con il corpo, con la mente e con il cuore, ma mi accorgo che, fuori, c’è un’altra battaglia da affrontare perché è dura ricominciare a vivere. La felicità, la libertà sono belle, ma mi affaticano. Come i giornalisti vengono in carcere, scrivono è colui che distingue il vero dal falso... e pubblica il falso, come una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.
 E io non ci sono più abituato.
Con i miei nipotini va un po’ meglio. Mi apparto spesso con loro. Sono diretti. Mi trattano come uno di loro. E non hanno timore di dirmi quello che pensano. Mi dicono che sono un po’ imbranato e un po’ rimbambito. All’improvviso è già il giorno di rientrare in carcere. E così imparo qualcosa su di me che prima non sapevo: imparo che non sono poi così coraggioso come pensavo, perché non mi è facile tornare in carcere sapendo che la mia pena finirà nell’anno 9999. Credo che la legge degli uomini spesso sia più dura e crudele dei reati che abbiamo commesso. Penso anche che non c’è vita senza amore. E in carcere, purtroppo, non c’è amore. Poi sono di nuovo in carcere. Mi accenderò una sigaretta.

lunedì 8 febbraio 2016

Carceri, no future!


Fra le molte lettere che ho ricevuto in questi giorni dai miei compagni mi hanno colpito queste parole di Alfio: “Sei il nostro compagno eroe. Sei quello che c’è l’ha fatta”.  Questa frase mi ha fatto pensare che non sarò mai un eroe se non ce la faranno anche gli altri. E da domani continuerò a lottare più di prima affinché tutti gli ergastolani abbiano un calendario in cella e un fine pena. (Diario di un ergastolano: www.carmelomusumeci.com )
Alla notizia che il Magistrato di Sorveglianza mi aveva concesso per la prima volta  quindici giorni di permesso a casa, mia figlia mi ha scritto: “Io e te… da sempre una cosa sola contro tutto… invincibili contro la speranza che ci avevano tolto… vincitori perché non ci saremmo mai rassegnati a vivere l’uno senza l’altra! Non importa quali difficoltà la vita ti metta davanti… vietato arrendersi, aspettare e compiangersi… siamo soltanto noi e la nostra determinazione gli artefici della nostra felicità!  Divisi da sempre uniti all’anima…”
22/12/2015 È difficile vivere senza un domani.Io ci ho vissuto per venticinque anni. Domani però torno alla vita. Ritorno a casa, da dove non sono mai andato via.
 Trattengo il respiro

23/12/2015 Esco. Trattengo il respiro. Muovo la testa da tutte le parti. Il cielo mi sembra enorme. Non ho nessun muro davanti. Neppure a destra né a sinistra. Per una frazione di secondo ho l’impulso di voltarmi. E di tornare dentro l’Assassino dei Sogni per sentirmi protetto dalle mura e dalle sbarre del carcere. Non mi sono però mica rimbambito fino a questo punto. Raduno i pensieri. Ispiro profondamente. Chiudo gli occhi per vedere meglio dentro il mio cuore. E salgo in macchina del mio angelo che mi porterà a casa.
 Il cielo mi sembra
enorme
24/12/2015 Sono tanto felice. E anche tanto confuso.Oggi, dopo venticinque anni, il mio cuore s’è svegliato alla vigilia di Natale senza un blindato davanti e delle sbarre di dietro. E sono stato circondato tutto il giorno da tanti sorrisi.
Carlo Musmeci
Mi sono mancati...
25/12/2015 Sono uscito di casa con i miei nipotini. Sono stato ai giardini pubblici. E sulla passeggiata al mare. I bambini assomigliano ai filosofi perché ti fanno di continuo tante domande. E i miei nipotini vedendomi fare cose strane mi hanno chiesto perché abbracciavo gli alberi, toccavo l’erba e annusavo l’odore del mare. Gli ho risposto che nel luogo dove sono stato per tanti anni non c’erano gli alberi, non c’era il mare e mi sono mancati tanto. 
26/12/2015 Oggi la mia compagna mi ha dato le chiavi di casa. E mi sono sentito un uomo ancora più libero. Sono entrato e uscito una decina di volte in un’ora, perché è bellissimo aprirti e chiuderti la porta da solo senza aspettare che lo faccia una guardia.
27/12/2015 Oggi sono venuti a trovarmi degli amici e delle amiche di mia figlia. Mi hanno domandato come ho fatto a sopravvivere in tutti questi anni di prigione. Ho scrollato la testa sorridendo. Gli ho risposto che non lo sapevo. E che ormai non aveva più importanza.
28/12/2015 Oggi pioveva, ma nel mio cuore c’era il sole. Sono rimasto un po’ sotto la pioggia perché è bello bagnarsi da uomo libero. E ho pensato che la cosa più terribile del carcere è che con il passare del tempo ti abitui a vivere da prigioniero e ti dimentichi del mondo che esiste oltre il muro di cinta.

29/12/2015 Mia figlia mi ha portato di nuovo in spiaggia. E nel vedere e sentire le onde infrangersi nella spiaggia ho pensato che è tutta un’altra cosa immaginarsi il mare come ho fatto per tanti lunghi anni. 
30/12/2015 Nonostante la felicità che sto provando in questi giorni spesso il mio pensiero va ai miei compagni dietro le sbarre. In questi giorni mi sento tanto fortunato che io ce l’ho fatta e loro no. E ho provato il desiderio di dividere con loro un po’ della mia felicità.
31/12/2015 Oggi ho passato uno dei più belli ultimi giorni dell’anno della mia vita, con mio figlio, mia figlia e la mia compagna. Mi sono sentito Ulisse che finalmente è tornato a casa.
1/01/2016 Oggi è il primo giorno dell’anno ed ho iniziato l’anno con il sorriso sulle labbra.Erano venticinque anni che non mi capitava più. Ho giurato a me stesso che continuerò a lottare contro l’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva” per me e i miei compagni. Ho sentito al telefono tanti amici e amiche che per molti anni mi hanno dato il loro affetto sociale.

“Pena di Morte Viva”
       2/01/2016 Tante vite fa, venivo chiamato “Il signore delle bische”.
Questa sera ho giocato a carte a “Scala quaranta” con il mio nipotino Lorenzo di nove anni. E mi sono subito accorto che non gli andava di perdere. Devo ammettere che non piace neppure a me. E ci sono rimasto male perché mi ha vinto venti euro
3/01/2016 Questa sera mia figlia mi ha portato a cena al ristorante. Sono stato tanto felice. E ho pensato che la cosa che conta più di tutto nella vita è l’amore; l’amore è il metro per misurare tutte le cose.
4/01/2016 Questa sera ho raccontato un po’ di fiabe al mio nipotino Michael di sette anni, fiabe che non ho mai potuto raccontare ai miei figli. E mentre io parlavo, lui scriveva. Poi mi ha raccontato, quasi con un senso di colpa, che nel compito in classe sui nonni lui ha nascosto che il suo era in prigione. L’ho baciato con amore. E gli ho risposto che aveva fatto bene.
5/01/2016 Domani rientrerò di nuovo dentro l’Assassino dei Sogni, ma cerco di non essere triste perché penso che ho tanti nuovi ricordi d’amore che mi aiuteranno a continuare a sopravvivere nel mondo dei morti.
6/01/2016 Sono tornato alla mia tomba buia e triste, ma il mio cuore è illuminato e felice dal ricordo del sorriso dei miei nipotini. I miei figli ormai sono grandi e forse non hanno più bisogno del mio amore come quando erano piccoli, ma i miei nipotini ne hanno ancora bisogno e continuerò a lottare e a vivere per loro.
7/01/2016 I miei compagni mi hanno domandato com’era il mondo dei vivi. Mi è venuto in mente il “mito della caverna” di Platone e ho risposto loro che da dentro una prigione possiamo vedere solo le ombre della vita. Poi ho aggiunto che, al di là del muro di cinta, tutto è bello e vivo.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, Gennaio 2016

venerdì 29 gennaio 2016

Vincere la nausea delle Patrie Galere

“Fuga dall’assassino
dei sogni”
Di recente ho letto il libro di Alfredo Cosco e Carmelo Musumeci “Fuga dall’assassino dei sogni”. In fondo al romanzo sono state inserite delle testimonianze di vari detenuti passati, anni fa, nelle carceri dell’Asinara e di Pianosa. Nel 1975, in seguito a episodi di terrorismo, lo Stato introdusse in alcuni istituti penitenziari dei reparti speciali. I detenuti che hanno narrato le loro vicende, si sono trovati a passare in questi reparti negli anni ’90. Uno dei titoli che sono stati date a queste lettere dice: quando lo racconteremo, non ci crederanno.
Carceri della follia










La nostra costituzione prevede che chi commette reato venga tolto dalla società e, come pena, debba scontare un periodo in carcere. Tale periodo, deve servire alla comprensione del reato e alla riabilitazione del soggetto. Ho sempre creduto fortemente in questo concetto. Ebbene, leggendo queste pagina ho scoperto un mondo dove era consentita la tortura, dove nulla è servito alla correzione dell’uomo, ma, semmai, all’abbruttimento e all’annientamento dello stesso. La detenzione consisteva in frequenti pestaggi quotidiani. In persone lasciate al freddo, col cibo “corretto” da sputi, urina, preservativi usati, pezzi di vetro… tanto che molti dei detenuti avevano un importante calo fisico. Docce consentite solo una volta alla settimana, dove le guardie si divertivano a lasciare che la persona si insaponasse, per poi levare l’acqua. Avevano una bottiglia di acqua al giorno, e solo quella; dai rubinetti non scendeva acqua potabile.


Carceri della vergogna
Alcune persone, se ne ha il forte sospetto, sono state uccise di botte. Improvvisamente in queste carceri, i delinquenti erano quelle persone che indossavano una divisa e che si arrogavano ogni diritto nei confronti di coloro che avrebbero dovuto custodire e tutelare. Tutto ciò di fronte a uno Stato che ha consentito che ciò accadesse e col benestare di medici e altre figure che entravano lì per lavoro e che facevano finta che tutto fosse regolare. Quando episodi simili sono accaduti in altri stati, appena se ne veniva a conoscenza, la stampa e il cinema, correvano a raccontare quanto accaduto, puntando il dito. Qui da noi… il silenzio. Se non fosse per questi detenuti che hanno avuto il coraggio di raccontare le loro vicende, nulla trapelerebbe alla luce del sole.
Qualunque sia il reato
commesso, dobbiamo sempre concedere la possibilità alla redenzione. Siamo in uno Stato di giustizia, non di vendetta. Riporto alcune testimonianze che valgono più di tante parole: “Una volta litigai con un detenuto e mi portarono alle celle d’isolamento, dove mi conciarono in modo tale da lasciarmi a terra svenuto con la testa rotta, dal mattino fino al pomeriggio, senza nessun soccorso”. Antonio de Feo – Detenuto.
“Tra le altre torture c’era il dover correre, quando si usciva dalla cella, per tutto il primo braccio; io mi trovavo alla nona cella, il primo braccio era di quindici metri, c’erano altri quindici metri per arrivare al cancello dell’aria e lì, sistematicamente, si mettevano in quindici, venti o anche trenta guardie, il numero dipendeva da quante di loro volevano partecipare al gioco. Ci facevano togliere le scarpe, ci perquisivano, poi, mentre recuperavamo le scarpe buttate a terra, c’era chi dava una pedata, chi una manganellata, chi una spinta, chi sputava, chi ci buttava acqua; capitava si scivolasse nella curva ed erano nuove botte”.
Rosario Indelicato
– ex detenuto. “Nei primi giorni era così tanto il mal di pancia dopo aver mangiato, che iniziai a nutrirmi solo di pane e frutta, ma poi dovetti soccombere e vincere la nausea. In seguito apprendemmo che nel nostro cibo ci mettevano ogni tipo di schifezza: detersivi, cibi scaduti, urina e altro”. Pasquale de Feo – detenuto. Credo che leggendo queste righe proviate anche voi lo sdegno e un dolore particolare che prende allo stomaco. Vero, sono persone che hanno sbagliato, ma sopra questo c’è che sono esseri umani. Credo che solo chi ha un’anima nera possa gioire ed essere felice che delle persone abbiano subito tali torture.
© Miriam Ballerini, SCRITTRICE
Miriam Ballerini è nata a Como il 28 ottobre 1970.
Ambasciatrice dal 2010 dell’università della pace della Svizzera italiana.
Presidente della Universum Como dal 2010 al 2011.

“l’Assassino dei Sogni”

giovedì 28 gennaio 2016

Lettera di un detenuto a Saviano

Lettera aperta di un ergastolano a Saviano
Ho saputo che un altro detenuto s’è suicidato impiccandosi alle sbarre della sua cella. Ed ho pensato che quando sei circondato dalle tenebre, basta dare una spinta allo sgabello, una volta sola, per vedere un po’ di luce. Forse per questo è difficile non approfittarne. (www.carmelomusumeci.com).

Ciao Roberto, un amico, membro di uno dei tavoli degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale in corso in questo periodo, mi ha mandato un tuo articolo dal titolo “Saviano: dentro Poggioreale. Se questo è un carcere” e mi ha dato l’idea di scriverti per chiederti di darmi una mano a fare conoscere le nostre “Patrie Galere”, che i nostri governanti mal governano, perché tu hai più voce e luce di noi.
“Pena di Morte Nascosta”
Prima di leggere l’articolo sinceramente ho pensato “Non gli scrivo, figurati se risponde ad un ergastolano, condannato pure per mafia”. Poi leggendoti ho iniziato a meditare di provarci. Quando ho finito ho pensato: “Peccato che Roberto non sia un detenuto, perché con la sua intelligenza e coscienza sociale ci avrebbe potuto dare una mano a portare lalegalità e l’umanità in questo inferno dantesco”.
Il clima del carcere
Pena di Morte Viva



Scusate, stavo dimenticando
di presentarmi: mi chiamo Carmelo, sono attivo in rete, con un proprio sito personale curato da volontari. Sono dentro da più di ventiquattro anni e in tutti questi anni mi sono sempre impegnato per la legalità costituzionale in carcere, perché tutti abbiano un fine pena e per cercare di essere anche la voce degli altri compagni ergastolani, facendomi spesso promotore di diverse, pacifiche e costruttive, iniziative per l’abolizione dell’ergastolo. Una volta avevo letto in un articolo pubblicato su “La Repubblica” che anche tu eri favorevole all’abolizione della “Pena di Morte Viva” - come chiamo io la pena dell’ergastolo - o “Pena di Morte Nascosta”, come la chiama Papa Francesco.
L’alternativ
Roberto, sarebbe importante se potessi tornare sull’argomento. In particolar modo su alcuni ergastolani arrestati giovanissimi, a diciotto, diciannove, venti anni, che hanno passato più anni della loro vita dentro che fuori. Molti di questi ragazzi sono stati usati, consumati e mangiati due volte, prima dai notabili del territorio di dove sono nati e cresciuti e poi dallo Stato centrale.
A qualcuno di loro è stata messa in mano una pistola e, forse per paura o per cultura deviata, non hanno saputo dire di no. Una volta dentro il carcere, sono stati sfruttati dai politici di destra, centro, sinistra e dalla lobby dell’antimafia. I primi per scopi e consensi elettorali, i secondi per motivi finanziari e mediatici

Carlo Musmeci

Carcere di Padova gennaio 2016